Uno dei reperti
archeologici più controversi dell’intera America è la Fuente Magna, detta anche
Vaso Fuente, un grande vaso di pietra, simile ad un recipiente per effettuare
libagioni, battesimi o cerimonie purificatorie.
Secondo la versione ufficiale il vaso fu
scoperto in Bolivia nel 1960, da un contadino, in un terreno privato che si
dice sia appartenuto alla famiglia Manjon, situato a Chua, circa 80 chilometri
da La Paz, nelle vicinanze del lago Titicaca.
Nella parte esterna il vaso
riporta alcuni bassorilievi zoomorfi (di origine Tihuanacoide), mentre
nell’interno, oltre a una figura zoomorfa o antropomorfa (a seconda
dell’interpretazione), vi sono incisi due tipi di differenti scritture, un alfabeto
antico, proto-sumerico, e il quellca, idioma dell’antica Pukara, civiltà
antesignana di Tiwanacu.
Nel 1960 l’archeologo boliviano Max Portugal Zamora
attuò alcuni piccoli lavori di restauro sul vaso di pietra, e tentò di
decifrare senza successo la misteriosa scrittura che è incisa nella parte
interna.
Il vaso fu consegnato da un membro della familia Manjon al municipio
di La Paz nel 1960. In cambio la familia Manjon ottenne un terreno in una zona
adiacente la capitale.
L’oggetto rimase in uno scantinato del “Museo de los
metales preciosos” per 40 anni.
Fino alla fine del XX
secolo nessuno sapeva in realtà da dove venisse la Fuente Magna, e nessuno
poteva immaginare la straordinaria e affascinante storia che racchiude.
Nel
2000 due ricercatori di La Paz, l’argentino Bernardo Biados e il boliviano
Freddy Arce, viaggiarono fino a Chua, luogo situato nel nord del lago Titicaca,
e chiesero informazioni ai nativi di lengua aymara sul ritrovamento della
Fuente Magna nel 1960.
Inizialmente nessuno sapeva dare informazioni, nè sul
Vaso Fuente, nè sulla famiglia Manjon, che sembrava essere scomparsa nel nulla.
Successivamente incontrarono un anziano di 92 anni, detto Maximiliano, che dopo
aver osservato una foto della Fuente Magna, la riconobbe come sua, e la
denominò in spagnolo “el plato del chanco”, ovvero il vaso dove mangiavano i
maiali.
Maximiliano dichiarò che il vaso fu trovato molti anni prima nelle
vicinanze del villaggio e non gli fu data alcuna importanza fino a quando
alcuni uomini lo portarono via (forse pagando un corrispettivo), per poi
consegnarlo al municipio di La Paz.
Proprio così: uno degli oggetti più
importante dell’intera Storia umana era utilizzato da un campesino come
recipiente per dar da mangiare ai maiali!
Bernardo Biados e Freddy Arce
fotografarono e studiarono a fondo il celebre vaso, giungendo alla conclusione
che era utilizzato nell’antichità per cerimonie religiose purificatorie. I due
ricercatori inviarono le foto delle iscrizioni al famoso epigrafista
statunitense Clyde Ahmed Winters, che decifrò le enigmatiche iscrizioni
proto-sumeriche che si trovano all’interno della Fuente Magna.
Ecco la traduzione
del pannello centrale dove vi sono i caratteri cuneiformi:
Avvicinati nel futuro ad una persona dotata di grande protezione
nel nome della grande Nia. Questo oracolo serve alle persone che vogliono
raggiungere la purezza e rafforzare il carattere. La Divina Nia diffonderà
purezza, serenità, carattere. Usa questo talismano (la Fuente Magna), per far
germogliare in te saggezza e serenità.
Utilizzando il santuario giusto, il
sacrario unto, il saggio giura di intraprendere il giusto camino per
raggiungere la purezza e il carattere. Oh sacerdote, trova l’unica luce, per
tutti coloro che desiderano una vita nobile.
L'indigeno Colla Maximiliano che mostra una
foto della "sua" Fuente Magna
Secondo i testi
antichi Ni-ash (Nammu o Nia), era la Dea che diede luce al Cielo e alla Terra,
al tempo dei Sumeri. Il bassorilievo situato nella parte interna del vaso, che
può richiamare ad una rana (simbolo di fertilità), secondo alcuni ricercatori è
proprio la rappresentazione di Nia, la Dea dei Sumeri.
Gli altri simboli che si
trovano ai lati del bassorilievo e nella parte adiacente alle incisioni
proto-sumeriche, sono stati interpretati come quellca, idioma scritto della
civiltà Pukara, ma non sono stati decifrati.
Nella parte esterna
del vaso ci sono alcuni bassorilievi zoomorfi, che richiamano la cultura di
Tiwuanacu: pesce e serpente. E’ molto probabile che la Fuente Magna venisse
utilizzata come vaso sacro per cerimonie esoteriche, che richiamavano il culto
della fertilità e la ricerca della purezza.
A
questo punto sorge la domanda? Come è possibile che vi siano delle iscrizioni
proto-sumeriche in un vaso ritovato presso il Titicaca, a ben 3800 metri
d’altezza sul livello del mare, distante decine di migliaia di chilometri dal
luogo di espansione della civiltà dei Sumeri?
A mio parere La Fuente Magna è
autentica, ed è uno degli oggetti antichi più importanti del mondo, attraverso
il quale si può venire a conoscenza del passato remoto dell’umanità e dei suoi
viaggi interoceanici.
Innuanzitutto si deve ricordare che l’esistenza del Nuovo
Mondo era perfettamente conosciuta ai Fenici e ai Cartaginesi che
circumnavigarono l’Africa nel I millennio prima di Cristo. Ma le loro
conoscenze derivavano dai Sumeri, il popolo che spesso si associa erroneamente
con la “nascità della civiltà”.
E’ noto che i Sumeri navigavano sulle loro imbarcazioni
attraverso i canali del Tigri e dell’Eufrate allo scopo di commerciare. E’
invece poco conosciuta la navigazione marittima dei Sumeri, che avevano come
base l’attuale isola di Bahrein, dove recenti scavi hanno dimostrato
l’esistenza di un porto commerciale che era in attività nel terzo millennio
prima di Cristo. Nei testi Sumeri l’odierno Behrein era identificato come
Dilmoun, e da quel punto le flotte sumere partivano per la foce dell’Indo da
dove rimontavano il grande fiume, giungendo a Mohenjo-Daro, per intercambiare
tessuti, oro, incenso e rame. Le imbarcazioni sumere erano lance che potevano
dislocare fino a 36 tonnellate.
Secondo Bernardo Biados i Sumeri
circumnavigarono l’Africa già nel terzo millennio prima di Cristo, ma, arrivati
presso le isole di Capo Verde, si trovarono sbarrato il passaggio dai venti
contrari che soffiano incesantemente verso sud-est. Si trovarono pertanto
obbligati a fare rotta verso ovest, cercando venti favorevoli. Fu così che
giunsero occasionalmente in Brasile presso le coste dell’attuale Piauì o
Maranhao. Da quei punti esplorarono il continente risalendo gli affluenti del
Rio delle Amazzoni, in particolare il Madeira e il Beni.
In questo modo
arrivarono all’altopiano andino, che probabilmente nel 3000 a.C. non aveva un
clima così freddo. Si mischiarono così alle genti Pukara che a loro volta
provenivano dall’Amazzonia (espansione Arawak), e ai popoli Colla (i cui
discendenti parlano oggi la lingua aymara). La cultura Sumera influenzò le
genti dell’altopiano, non solo dal punto di vista religioso, ma anche
lessicale. Molti linguisti infatti hanno trovato molte similitudini tra il
proto-sumerico e l’aymara.
Alcuni Sumeri rientrarono nel Vecchio Mondo e vi
trasportarono la coca, che fu trovata anche nelle mummie di alcuni faraoni
egizi.
Ultimamente Bernardo Biados e Freddy Arce hanno analizzato e studiato a
fondo il monolito di Pokotia, che riporta interessanti iscrizioni nella parte
dorsale, che possono anch’esse essere relazionate con viaggi inter-oceanici
avvenuti antecedentemente al terzo millennio a.C.
Solo con lo studio comparato
di genetica, archeologia, linguistica e scienza epigrafica si potrà giungere in
futuro alla reale comprensione delle relazioni tra gli antichi popoli del
mondo, in modo da poter tracciare così una mappa dettagliata dell’intera
evoluzione umana.
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