Come pochi sanno, la tipologia di sangue più diffusa in
Egitto era, ed è tuttora, il gruppo 0, fatto alquanto insolito. Lo stupore
aumenta se poi consideriamo che il gruppo A normalmente si accompagna al tipo
razziale di pelle chiara (o comunque caucasica) e che lo stesso risultato
clinico è stato ottenuto su alcune mummie Incas di alto rango sociale
conservate al British Museum di Londra, confermando l’esistenza di una
circostanza atipica, che
contraddistingueva entrambi i clan di queste popolazioni.
L’identificazione del gruppo sanguigno in resti umani così
antichi è stata possibile grazie alcune specifiche sostanze presenti in tutte
le cellule del corpo, persino sulle membrane dei globuli rossi e nei fluidi
organici dell’individuo. La natura di queste sostanze antigeniche le rende
inoltre resistenti alle modificazioni ambientali, permettendone
l’individuazione anche a notevole distanza di tempo dalla morte delle cellule
(persino nei resti scheletrici, nei denti, nei capelli e nei tessuti
mummificati da migliaia di anni).
Come già evidenziato, il gruppo sanguigno di tipo A
appartiene a un’etnia che secondo la storia convenzionalmente accettata non
poteva essere presente tra le popolazioni preispaniche del nuovo continente.
Tale anomalia, tuttavia, risulta essere stata condivisa dai membri della casta
dominante dell’antico Egitto e del Sudamerica
precolombiano. A tal proposito l’egittologo britannico Walter. B. Emery
condusse rivoluzionari studi che pubblicò nel 1961 nel volume Archaic Egypt. Le
sorprendenti conclusioni a cui egli giunse nella sua ponderosa opera riguardo
l’etnia dominante dei costruttori e l’era in cui questi si stabilirono in
Egitto si scontrarono subito con le obsolete teorie ortodosse di ottocentesca
memoria.
Horus |
Continuando nelle sue ricerche, Emery, analizzo mummie più antiche e scoprì che,
quelle contraddistinte dal gruppo sanguigno A, appartenevano tutte al lignaggio
regnante e che provenivano da un diverso ceppo raziale, di alta statura e dai
caratteri nordici. da ciò ne dedusse che il popolo colonizzatore, pur essendo
molto inferiore nel numero, fosse assai più progredito nelle scienze e che per
tale ragione fosse riuscito ad imporsi subito come stirpe reale sui popoli
autoctoni di diverse regioni del mondo.
I membri della nuova casta dominante devono aver poi cercato di preservare la
propria diversa identità raziale congiungendosi esclusivamente tra
consanguinei.
Sempre secondo gli studi “eretici” dell’egittologo Walter
Emery, la differenziazione etnica tra l’aristocrazia più civilizzata e la massa
del popolo originario rimase piuttosto netta nel corso dei secoli.
Canone Regio-Museo Egizio-Torino |
A supporto di questa tesi troviamo le tradizioni dei popoli
più antichi ed enigmatici del mondo, a cominciare da quelle precolombiane:
storie che seppur mitizzate e caratterizzate da sfumature narrative diverse,
tramandano tutte l’arrivo di un popolo civilizzatore razzialmente e
culturalmente diverso e dall’eccezionale grado di sviluppo tecnologico (i
cosiddetti dei e semidei). E per quanto riguarda più specificatamente l’Egitto,
secondo il Canone Regio conservato al
museo egizio di Torino, la casta dominante da cui provenivano i faraoni sarebbe
appartenuta un tempo al popolo chiamato Shemsuhor,
ovvero i “compagni di Horus”. Costoro, secondo la tradizione egizia,
avrebbero regnato per 13400 anni prima dell’ascesa al trono di Menes, il re a
cui si deve l’unificazione dei regni. I misteriosi discepoli di Horus furono
infine descritti nelle antiche scritture come diretti discendenti di quelle
“divinità” che abitarono l’Egitto durante lo Zep Tepi (il tempo dell’inizio), un periodo precedente all’ultima
glaciazione (diluvio universale) e che corrisponde alla cosiddetta età del
Leone (circa 1200 anni or sono).
continua...
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